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Il fatulì, formaggio affumicato della Valsaviore



Tra le eccellenze locali della gastronomia camuna spicca il fatullì della Valsaviore, un piccolo formaggio affumicato, prodotto con il latte crudo della capra bionda dell'Adamello. È un prodotto raro perché gli esemplari di questa specie autoctona sono poche migliaia; fino ad alcuni anni fa, la capra bionda dell'Adamello era in via d'estinzione ma poi l'interesse per la salvaguardia del territorio ha portato al recupero dell'allevamento, con gli attuali 4000 capi, e quindi della produzione di questo prezioso formaggio.

Fatulì significa appunto piccolo formaggio, e non piccolo pezzo, come spesso riportato: nel dialetto antico della Valsaviore infatti la formagella si chiamava føta. I pastori al disgelo salivano sulle montagne con le capre; per conservarlo più a lungo, affumicavano il fatulì bruciando il legno aromatico del ginepro.

LA PRODUZIONE

Il disciplinare di produzione è rigoroso: il latte crudo deve provenire da una o al massimo due mungiture successive, prodotto nelle aziende e quando possibile con latte di malga; la capra è allevata allo stato brado o semibrado e si nutre di erbe locali, che danno un sapore unico; vietati ogm e farine di origine animale. La zona di produzione è stata estesa a tutta la Valle Camonica e il fatulì ha ottenuto diversi riconoscimenti: è presidio Slow Food, prodotto agricolo tradizionale della Regione Lombardia e prodotto De.Co. (Denominazione comunale) per certificare la provenienza dai cinque comuni della Valsaviore e dalla Valle Camonica.

Dentro il fatulì c'è la tradizione di un territorio e l'assegnazione del titolo di presidio Slow Food implica il rispetto per la sostenibilità delle tecniche di produzione e di una economia che garantisce il benessere degli allevatori e degli animali. Gli enti locali continuano a investire in progetti di valorizzazione e supporto e anche nell'ampliamento del numero di aziende produttrici.

PROFUMO DI MONTAGNA

L’affumicatura avviene qualche giorno dopo la produzione, che va da febbraio a ottobre, su graticci disposti sopra il fuoco, dove si bruciano le frasche verdi del ginepro e rametti di nocciolo o faggio. Il diametro va dai 10 ai 14 cm, con scalzo di 4/6 cm e un peso variabile da 3 a 5 etti per ogni pezzo. Sulla crosta ci sono i segni della grata; la pasta è elastica, chiusa o con leggera occhiatura, il colore è giallo paglierino, più o meno intenso. La delicatezza del sapore risalta grazie agli aromi delle erbe di montagna. La stagionatura media è di circa trenta giorni, fino a sei mesi invece per l'utilizzo in scaglie o grattugiato. Si può gustare crudo, con composte di frutta o miele, è squisito nel risotto con le pere.


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